sabato 17 gennaio 2009

Si può sempre imparare

L'ammainabandiera di Silvio
di Massimo Gramellini
La morale: c’è sempre un emiro più emiro di te. Se il figlio prediletto Kakà si trasferirà nell’harem dello sceicco di Manchester, Berlusconi avrà applicato a se stesso il principio sul quale ha impostato la vita: ogni uomo ha un prezzo. Anche lui.
Finora quel principio lo aveva sperimentato sugli altri: non solo nel calcio, ma soprattutto lì. Quando scippò l’atalantino Donadoni all’Avvocato raddoppiando all’ultimo la già lauta offerta della Juve. Quando rapì il granata Lentini in elicottero per mostrargli un oceano di banconote. O quando, a furor di bigliettoni, sfilò alla Lazio la sua bandiera, Nesta, dopo aver giurato al meeting di Comunione e Liberazione che Nesta mai e poi mai.
Anche nel calcio Berlusconi ha sempre mostrato le sue due facce. Tradizionalista in famiglia, dove Baresi, Maldini e Costacurta alimentavano il culto feticista per le bandiere, quei giocatori che restano legati in eterno al club degli esordi. E spregiudicato innovatore in giro per il mondo, dove utilizzava l’arma infallibile del denaro per strappare gli scalpi migliori, senza alcun riguardo per i contratti firmati e le promesse fatte ai tifosi: nient’altro che carta da far scomparire dentro altra carta, quella luccicante dei suoi dobloni.
Era come uno di quei condottieri romani che, per conservare la civiltà a casa propria, si prestavano a essere i razziatori di quelle altrui. Finché non trovarono dei barbari più barbari di loro. Il barbaro di Berlusconi si chiama Mansour e sta per dargli 150 milioni di dollari in cambio della sua verginità di seduttore non seducibile. Una proposta impossibile da respingere e il premier, uomo pratico, finirà per accettarla. Ma sono sicuro che, nell’incassare l’assegno, per la prima volta in vita sua si sentirà invecchiato.

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